Ricorso  ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, presso i cui uffici e'  legalmente  domiciliato
in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione  Calabria,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale pro tempore; 
    Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art.  1
della legge Regione Calabria n. 14 del 31 maggio 2019 pubblicata  sul
B.U.R n. 61 del 3 giugno 2019, recante «Interpretazione autentica del
comma 1 dell'art. 10  della  legge  regionale  2  marzo  2005,  n.  8
(collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno  2005)»  come
da delibera del Consiglio dei ministri del 19 luglio 2019. 
Premessa. 
    In data  3  giugno  2019,  e'  stata  pubblicata  nel  Bollettino
Ufficiale della Regione Calabria n. 61 del 3 giugno  2019,  la  legge
regionale  n.  14  del  31  maggio   2019,   recante,   all'art.   1,
«Interpretazione autentica del  comma  1  dell'art.  10  della  legge
regionale 2 marzo 2005, n.  8  (collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2005)». 
    Il provvedimento in esame si pone in contrasto con gli articoli 3
e 97, quarto comma Cost., in quanto viola la regola dell'accesso agli
impieghi  presso  le  pubbliche  amministrazioni  mediante   concorso
nonche' le regole in tema di norme retroattive. 
    Pertanto, con il  presente  atto,  si  impugna  la  citata  legge
regionale  della  Regione  Calabria  n.  14/2019,  affinche'  ne  sia
dichiarata  la   illegittimita'   costituzionale,   con   conseguente
annullamento, sulla base delle seguenti considerazioni in punto di 
 
                               Diritto 
 
La normativa rilevante. 
    L'art. 11 della legge regionale n. 8/1996 (recante  «Norme  sulla
dirigenza e sull'ordinamento degli Uffici  del  Consiglio  regionale»
cosi' disponeva originariamente: 
    «Art. 11 (Figure professionali speciali). 
    1. E' istituita una struttura speciale denominata Ufficio  Stampa
che include le testate giornalistiche edite dal Consiglio  regionale.
In detta struttura, fatti  salvi  i  rapporti  di  lavoro  in  corso,
possono essere chiamati  a  contratto  giornalisti  professionisti  e
pubblicisti iscritti  negli  albi  professionali.  Con  deliberazione
dell'Ufficio di Presidenza e' definito il contingente  di  personale.
L'incarico e' conferito per la durata della legislatura e puo' essere
rinnovato. 
    2. Il Consiglio regionale si avvale della  consulenza  legale  di
esperti, in  numero  non  superiore  a  cinque,  scelti  su  proposta
dell'Ufficio di Presidenza. Gli incarichi si risolvono di diritto con
la fine della legislatura e possono essere rinnovati.». 
    L'art. 10 della legge regionale n. 8/2005 (recante «Provvedimento
generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato
alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005, art. 3,  comma  4,
della legge regionale n. 8/2002)» cosi' ha poi disposto al comma 1: 
        «All'art. 11, comma 1, della legge regionale 13 maggio  1996,
n.  8  le  parole  da  "L'incarico..."  a  "...  rinnovato..."   sono
soppresse». 
    Da ultimo la legge regionale n. 14/2019 (recante «Interpretazione
autentica del comma 1 dell'art. 10  della  legge  regionale  2  marzo
2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza  regionale  per  l'anno
2005)» ha cosi' stabilito: 
        «Il comma 1 dell'art. 10 della legge regionale 2 marzo  2005,
n. 8 (Collegato alla manovra di finanza regionale per  l'anno  2005),
di soppressione dell'ultimo periodo del comma 1  dell'art.  11  della
legge regionale 13  maggio  1996,  n.  8  (Norme  sulla  dirigenza  e
sull'ordinamento  degli  Uffici  del   Consiglio   regionale),   deve
intendersi come confermativo, senza  soluzione  di  continuita',  dei
rapporti di lavoro in essere alla data della sua entrata in vigore.». 
    La disposizione de qua presenta aspetti illegittimi per quanto di
seguito evidenziato: 
        La disposizione in esame ha un contenuto non limitato  a  una
mera funzione interpretativa  dell'art.  10,  comma  1,  della  legge
regionale n. 8/2005, bensi' teso ad innovarne il contenuto precettivo
determinando, di fatto, la trasformazione degli incarichi assegnati a
giornalisti professionisti e pubblicisti («...possono essere chiamati
a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti...») in rapporti
di lavoro a tempo indeterminato («... deve  intendersi  confermativo,
senza  soluzione  di  continuita',  dei   rapporti   di   lavoro   in
essere...»). 
    In altri termini, la norma  appare  finalizzata  ad  attuare  una
«stabilizzazione»  dei  giornalisti  professionisti   e   pubblicisti
chiamati a lavorare «a contratto» presso l'Ufficio stampa  regionale,
escludendo qualsiasi soluzione di continuita'  rispetto  all'iniziale
contratto stipulato. 
    Com'e' noto la giurisprudenza della  Corte  ha  riconosciuto  nel
concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento  per
il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale  al  canone  di
efficienza dell'Amministrazione (sentenze n. 34 del 2004, n. 194  del
2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990  e  n.  81  del
1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi  a  tale  regola  solo  «in
presenza di peculiari situazioni giustificatrici», nell'esercizio  di
una discrezionalita' che trova il  suo  limite  nella  necessita'  di
garantire il buon andamento della pubblica amministrazione ed il  cui
vaglio di costituzionalita'  non  puo'  che  passare  attraverso  una
valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore. 
    E' stato, inoltre, precisato che «un interesse  pubblico  per  la
deroga al principio del pubblico concorso,  al  fine  di  valorizzare
pregresse  esperienze  professionali  dei  lavoratori  assunti,  puo'
ricorrere solo in  determinate  circostanze»  (sentenza  n.  167  del
2013),  essendo  comunque  necessario  che  la  legge  «subordini  la
costituzione del rapporto a tempo indeterminato all'accertamento  di'
specifiche  necessita'  funzionali  dell'Amministrazione  e   preveda
procedure di verifica dell'attivita' svolta»  (sentenza  n.  167  del
2013 e, tra le tante, sentenza n. 189 del 2011 e n. 215 del  2009)  e
che la deroga sia «contenuta entro  determinati  limiti  percentuali»
(ancora sentenza n. 167 del 2013). 
    In altri termini, se «il principio  dettato  dall'art.  97  Cost.
puo' consentire la previsione  di  condizioni  di  accesso  intese  a
consolidare pregresse esperienze  lavorative  maturate  nella  stessa
amministrazione» (sentenza n. 189 del 2011), occorre,  tuttavia,  che
l'area delle eccezioni alla regola  del  concorso  sia  rigorosamente
delimitata e non si risolva «in una indiscriminata e non  previamente
verificata immissione in ruolo di personale esterno attinto da bacini
predeterminati» (sentenza n. 227 del 2013). 
    Tanto premesso, va osservato che la legge regionale in esame  non
fornisce alcun elemento  idoneo  a  giustificare  una  cosi'  vistosa
deroga all'art. 97 Cost. 
    Alla luce delle suesposte considerazioni, la legge  regionale  in
esame e' incompatibile  con  l'art.  97,  quarto  comma,  Cost.,  che
sancisce  l'obbligo  di  accedere  agli  impieghi   nelle   pubbliche
amministrazioni mediante concorso. 
    Riguardo  poi  la  natura  asseritamente   interpretativa   della
disposizione  censurata,  si  ricorda  che  la  Corte  ha,  in   piu'
occasioni, affermato che 
        «a) va riconosciuto carattere interpretativo alle  norme  che
hanno il fine obiettivo di chiarire il senso  di  norme  preesistenti
ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli  ritenuti
ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo  di
imporre a chi e' tenuto ad applicare la disposizione  considerata  un
determinato significato normativo» (sentenza n. 424 del 1993). 
    Ed  ha  chiarito  che  il  legislatore  puo'  adottare  norme  di
interpretazione autentica non  soltanto  in  presenza  di  incertezze
sull'applicazione di una disposizione di contrasti giurisprudenziali,
ma anche  quando  la  scelta  imposta  dalla  legge  rientri  tra  le
possibili varianti di senso  del  testo  originario,  cosi'  rendendo
vincolante un significato ascrivibile  ad  una  norma  anteriore  (ex
plurimis; sentenze n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del  2011,
u. 209 del 2010). 
    Inoltre, questa Corte  ha  anche  piu'  volte  affermato  che  il
divieto di retroattivita' della legge, pur  costituendo  fondamentale
valore di  civilta'  giuridica,  non  e'  stato  elevato  a  dignita'
costituzionale salvo la previsione dell'art. 25 Cost. per la  materia
penale) per cui, allorquando  «una  norma  di  natura  interpretativa
persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza  del
dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto
o di  ristabilire  un'interpretazione  piu'  aderente  all'originaria
volonta' del legislatore, non e' precluso al legislatore  di  emanare
norme  retroattive  (sentenza  n.  150  del  2015).  D'altronde,   la
questione, come rilevato da questa Corte nelle piu' recenti  sentenze
rese in materia, non e'  tanto  quella  di  verificare  se  la  norma
censurata abbia carattere effettivamente interpretativo e sia percio'
retroattiva ovvero sia innovativa con efficacia  retroattiva,  bensi'
di  accertare  se  la  retroattivita'  della  legge  trovi   adeguata
giustificazione sul  plano  della  ragionevolezza  e  sia,  altresi',
sostenuta da  adeguati  motivi  di  interesse  generale  (ex  multis,
sentenze n. 69 del 2014 e n. 264 del 2012)» (Corte cost.,  10  giugno
2016, n. 132); 
        «b) Al legislatore non e' preclusa la possibilita' di emanare
norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La
retroattivita' deve, tuttavia, trovare adeguata  giustificazione  sul
piano della ragionevolezza attraverso un puntuale  bilanciamento  tra
le  ragioni  che  ne  hanno  motivato  la  previsione  e  I   valori,
costituzionalmente  tutelati,   al   contempo   potenzialmente   lesi
dall'efficacia a ritroso della norma adottata (sentenza  n.  170  del
2013, che riassume sul tema  le  costanti  Indicazioni  di  principio
espresse dalla Corte). Questa Corte ha, pertanto, individuato  alcuni
limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla
salvaguardia di principi costituzionali tra i quali  sono  ricompresi
"Il  rispetto  del  principio  generale  di  ragionevolezza,  che  si
riflette nei  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento; la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale  principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto  delle
funzioni  costituzionalmente   riservate   ai   potere   giudiziario"
(sentenza n. 170 del 2013, nonche' sentenze n. 78 del 2012 e  n.  209
del 2010). L'affermazione  di  principio  in  forza  della  quale  la
distinzione tra norme interpretative e disposizioni retroattive  deve
ritenersi priva di rilievo al fine che occupa merita,  tuttavia,  una
ulteriore precisazione. In piu' occasioni,  infatti,  avuto  riguardo
alle norme che pretendono di avere natura  meramente  interpretativa,
questa  Corte  ha  ritenuto  che  la  palese   erroneita'   di   tale
auto-qualificazione  puo'  costituire  un  indice,   sia   pure   non
dirimente, della irragionevolezza della  disposizione  impugnata  (In
tal senso, sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del  2011).  Per  contro,
l'individuazione della natura interpretativa  della  norma  non  puo'
ritenersi in se' indifferente nel bilanciamento di valori sotteso  al
giudizio di costituzionalita' che cade sulle norme  retroattive.  Se,
ad  esempio,  i  valori   costituzionali   in   gioco   sono   quelli
dell'affidamento  dei  consociati  e  della  certezza  dei   rapporti
giuridici,  e'  di  tutta  evidenza   che   l'esegesi   imposta   dal
legislatore, assegnando alle disposizioni interpretate un significato
in esse gia' contenuto, riconoscibile come una delle  loro  possibili
varianti di senso, influisce sul positivo apprezzamento sia della sua
ragionevolezza "... sia della non  configurabilita'  di  una  lesione
dell'affidamento dei destinatari (sentenza n. 170 del 2008). 4.3.3. -
Occorre dunque procedere alla corretta  individuazione  della  natura
delle norme oggetto di censura in parte qua. Sul  punto  va  ribadito
(ex  plurimis,  sentenza  n.  314  del  2013)  che  "va  riconosciuto
carattere interpretativo alle norme che hanno il  fine  obiettivo  di
chiarire il senso di norme preesistenti  ovvero  di  escludere  o  di
enunciare  uno  dei  sensi  fra   quelli   ritenuti   ragionevolmente
riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi e'
tenuto  ad  applicare  la  disposizione  considerata  un  determinato
significato normativo". Il  legislatore,  del  resto,  puo'  adottare
norme di  interpretazione  autentica  non  soltanto  in  presenza  di
incertezze  sull'applicazione  di  una  disposizione   di   contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando  la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti  di  senso  del  testo  originario,
cosi' rendendo vincolante un significato  ascrivibile  ad  una  norma
anteriore (in termini, oltre al  precedente  gia'  citato,  anche  le
sentenze n. 271 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 170 del 2008)»  (Corte
cost. 12 aprile 2017, n. 73). 
    Nel caso di specie, l'art. 10, comma 1, della legge regionale  n.
8 del 1996, nella sua originaria formulazione, prevedeva che 
        «E'  istituita  una  struttura  speciale  denominata  Ufficio
Stampa che include le  testate  giornalistiche  edite  dal  Consiglio
regionale. In detta struttura, fatti salvi i rapporti  di  lavoro  in
corso, possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti
e pubblicisti iscritti negli albi  professionali,  con  deliberazione
dell'ufficio di Presidenza e' definito il contingente  di  personale.
L'incarico e' conferito per la durata della legislatura e puo' essere
rinnovato.». 
    L'art. 10, comma 1, della  legge  regionale  n.  8  del  2005  ha
soppresso l'inciso «L'incarico  e'  conferito  per  la  durata  della
legislatura e puo' essere rinnovato.». 
    L'unica interpretazione plausibile di tale abrogazione  non  puo'
che essere la esclusione della possibilita'  di  conferire  incarichi
per la durata della legislatura nonche' del loro rinnovo. 
    Si potrebbe forse ritenere che l'abrogazione  della  prima  parte
dell'inciso non sia tale da impedire la stipula di contratti per  una
legislatura (1) ;  di  certo  pero'  contratti  di  tale  durata  non
avrebbero una espressa copertura legislativa. 
    Ancora  piu'  chiara  pero'  e'  la  seconda  parte  del  periodo
abrogato, che consentiva  il  rinnovo  dell'incarico  (ormai,  quindi
vietato). 
    Alla  luce  delle  predette  considerazioni,  e'   evidente   che
l'asserita disposizione di interpretazione autentica: 
        1) non assegna alla norma interpretata un significato gia' in
questa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture  del
testo originario; 
        2) non e' finalizzata e a chiarire  situazioni  di  oggettiva
incertezza  del  dato  normativo   in   ragione   di   un   dibattito
giurisprudenziale irrisolto; 
        3)  non  consente  di  ristabilire  un'interpretazione   piu'
aderente alla originaria volonta'  del  legislatore  a  tutela  della
certezza del diritto e della eguaglianza dei cittadini,  principi  di
preminente interesse costituzionale. 
    La disposizione infatti, lungi dal  fornire  una  interpretazione
possibile del testo  della  legge,  ne  modifica  il  contenuto,  con
efficacia retroattiva, ancorche' si tratti di disposizioni in  vigore
a tempo determinato, consentendo nella sostanza la trasformazione  da
tempo determinato a tempo indeterminato di contratti  di  lavoro  (in
ipotesi  anche  autonomo;  anzi  il   riferimento   della   norma   a
«giornalisti  professionisti  e  pubblicisti  iscritti   negli   albi
professionali» fa propendere proprio per  quest'ultima  ipotesi),  in
essere alla data di entrata in vigore della disposizione abrogatrice. 
    Conseguentemente, l'art.  1  della  legge  regionale  in  oggetto
risulta essere censurabile anche per violazione  dell'art.  3  Cost.,
dal momento che esso, seppure qualificato  dallo  stesso  legislatore
regionale in termini di norma di interpretazione  autentica,  non  si
pone in linea  con  le  indicazioni  della  Corte  nello  scrutinare,
attraverso  il  sopra   menzionato   parametro   costituzionale,   la
legittimita' delle norme  di  interpretazione  autentica  o  comunque
delle norme dotate di efficacia retroattiva. 
    In definitiva la norma indicata per le esposte motivazioni appare
in  contrasto  con  gli  articoli  3  e  97,  quarto   comma,   della
Costituzione, in  quanto  la  disposizione  da  un  lato  risulta  in
contrasto con  la  regola  del  pubblico  concorso  e  dall'altro  si
autoqualifica falsamente interpretativa  operando  di  fatto  in  via
retroattiva senza che la norma trovi alcuna «adeguata giustificazione
sul piano della ragionevolezza» ne' sia «sostenuta da adeguati motivi
di interesse generale» (sentenza n. 132/2016). 

(1) Stante la previsione,  nel  secondo  periodo  della  disposizione
    «possono essere chiamati a contratto...».